« Sbagliato! Non hai mai avuto il controllo, hai solo creduto di averlo, un’illusione. Che cos’è che controlli per certo? Il volume del tuo stereo, o l’aria condizionata nella tua macchina… »
Ethan Powell, personaggio interpretato da Anthony Hopkins nel film “Istinct”, 1999.
Allentare il controllo per vincere l’ansia: quanto può essere difficile? E’ possibile lasciarsi andare, affidarsi all’istinto, concedersi di “non essere impeccabili” nelle proprie scelte e nel proprio essere?
Quando parliamo di controllo ci riferiamo tanto a ciò che ci sta intorno (l’ambiente in cui ci muoviamo, le persone che frequentiamo, ecc.) quanto a noi stessi (cosa è “bene”, “adeguato”, “educato”, “possibile” che io dica o non dica, faccia o non faccia, esprima o non esprima).
Certo l’esercizio del controllo è un’attività necessaria per poter vivere insieme agli altri in modo civile, ma in alcuni casi, quando portato all’estremo, può arrivare a limitare sempre più profondamente il campo d’azione dell’individuo, la sua libertà di espressione, la capacità di sperimentare emozioni autentiche e trarre soddisfazione dalla vita.
Sono queste le condizioni che possono divenire terreno fertile per l’instaurarsi di manifestazioni disfunzionali quali ansia eccessiva, attacchi di panico, somatizzazioni: il disagio trova il suo canale di espressione, nonostante tutto, nonostante i tentativi di controllo, nonostante noi…
A volte il bisogno di controllo è più marcato nei confronti dei contesti di vita, manifestandosi con la necessità di mantenere i propri spazi sempre perfettamente puliti ed in ordine, non ammettendo che alcunché sia “fuori posto”, appoggiandosi a rigide abitudini all’interno delle quali l’imprevisto non solo non è contemplato, ma è anzi fortemente temuto in quanto elemento “destabilizzante”. In altri casi invece l’oggetto principale del controllo è il proprio comportamento: ci si impone una ferrea autodisciplina, l’approccio logico-razionale diviene un valore idealizzato, in contrasto alla sfera emotiva che viene svalorizzata, osteggiata, negata. Nel tentativo di rimanere ancorati ad una realtà nitida, prevedibile e, appunto, controllabile, si cerca di evitare il coinvolgimento emotivo. Trincerandosi dietro una presunta “autarchia”, si pretende di bastare a se stessi, arrivando a negare i propri desideri, sentimenti e bisogni più profondi. La vita perde di slancio e la sfera del dovere diventa l’unica ad essere contemplata.
Si tratta di un atteggiamento che tende a sedimentarsi nel tempo, consolidandosi nella vita adulta, e che può trarre origine da svariate vicissitudini nella storia più o meno remota della persona. A volte è una adolescente che nega il dolore di un lutto o della separazione dei genitori “decidendo” che soffrire è infantile, e votandosi di conseguenza alla prestazione scolastica o sportiva. Altre volte è un ragazzo che, rifiutato sentimentalmente o con difficoltà di integrazione fra i pari, cerca rassicurazione nella dedizione ai suoi doveri, disinvestendo nella sfera sociale. Altre volte ancora è un bambino allevato senza spazi per il gioco, la creatività, l’errore, la libera sperimentazione di sé in tutte le forme che l’infanzia solitamente prevede: un bambino precocemente adultizzato ed inquadrato dalle regole sociali, che crescerà nell’idea che ciò che gli altri pensano di lui sia più importante di ciò che lui effettivamente prova e pensa.
Qualunque sia il percorso attraverso il quale si giunga a sviluppare un’ attitudine ipercontrollante, uno stile di vita così caratterizzato presenterà, prima o poi, delle criticità in termini di soddisfazione personale, autenticità e benessere complessivo. In questo quadro, ansia ed attacchi di panico sono solo alcune delle ripercussioni psicologiche possibili.
Allentare il controllo, o meglio, abbandonare l’illusione del controllo, significa poter accettare la coesistenza di dimensioni vissute come opposte, ma che in realtà sono complementari. L’obiettivo è di (ri)entrare in contatto con le proprie emozioni tanto ignorate e bistrattate, prendere consapevolezza dei propri bisogni più profondi, acquisire una sufficiente quota di auto-indulgenza che consenta finalmente di potersi accettare nella propria complessità, incompletezza e, in fondo, umanità.
Per raggiungere questi risultati è possibile affidarsi alla consulenza di uno psicologo, che accompagni nella rivisitazione del proprio stile di vita in un’ottica di maggiore apertura ed inclusività. In molti casi possono essere d’aiuto tecniche di rilassamento, meditative, o ancora di espressione corporea, tutte attività che, al di fuori da logiche prestazionali, favoriscono il contatto con parti sé precedentemente trascurate o negate contribuendo a mitigare l’ansia.
Chi ipercontrolla, vive come all’interno di una corazza, investendo (perlopiù inconsciamente) molte energie nel limitare ogni movimento in entrata o in uscita: ciò che delle relazioni sociali viene interiorizzato, e ciò che di sé viene fatto trasparire. Sul mantenimento di questo stato di cose l’individuo ipercontrollante fonda la ricerca di un senso di sicurezza, e qualunque incrinatura di tale sistema viene altamente temuta ed evitata. Se opportunamente accompagnate in un processo di allentamento del controllo, le persone si sorprendono nel realizzare quanta bellezza possa emergere dalle crepe del rigido apparato che si erano costruiti: quanto più leggero e gratificante possa essere riuscire ad accettarsi con indulgenza, valorizzandosi pur nella propria temuta imperfezione, esprimere le proprie emozioni, utilizzandole finalmente come alleate, nella comprensione degli altri e nei rapporti interpersonali.
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